Mobility manager, la rivoluzione mancataIl Decreto Rilancio ha ridotto a cento la soglia dipendenti che ne obbliga la nomina




 

Nello scorso maggio il Decreto legge Rilancio ha abbassato da trecento dipendenti a cento la soglia dimensionale minima che obbliga le aziende a nominare un mobility manager. Normativa alla mano quello che in ‘burocratese’ viene indicato come responsabile della mobilità aziendale’ sarebbe chiamato a operare in tutte le aziende e le pubbliche amministrazioni con singole unità locali con più di cento dipendenti ubicate in un capoluogo di regione, in una città metropolitana, in un capoluogo di provincia ovvero in un comune con popolazione superiore a cinquantamila abitanti. L’uso del condizionale è però d’obbligo, in quanto anche questa volta non sono state previste sanzioni per la mancata nomina.
Questa figura era stata prevista con grande lungimiranza già nell’ormai lontano 1998, dal cosiddetto Decreto Ronchi. Due anni dopo, col Decreto del 20 dicembre 2000, erano stati previsti finanziamenti ai comuni per la realizzazione di ‘Piani per la gestione della domanda di mobilità riferiti ad aree industriali, artigianali, commerciali, di servizi, poli scolastici e sanitari o aree che ospitano, in modo temporaneo o permanente, manifestazioni ad alta affluenza di pubblico”. Bisogna invece attendere il 2015 perché nella normativa italiana compaia la figura del mobility manager scolastico. Tutte politiche che sono state però viste dal mondo imprenditoriale come semplicemente un costo aggiuntivo evitabile, senza percepirne i benefici, eccezion fatta per le filiali italiane di grosse multinazionali estere. Tali corporation hanno provveduto a queste nomine principalmente per una questione di corporate social responsability e perché spinte dall’esempio positivo dei loro paesi d’origine.
In molti casi, i mobility manager si sono limitati a stringere accordi con gli operatori del trasporto pubblico locale, per fare avere abbonamenti con una piccola scontistica ai dipendenti dell’impresa. In altri, le aziende hanno proceduto alla nomina del mobility manager e alla redazione del Piano degli Spostamenti Casa Lavoro (Pscl) solo nell’ambito delle procedure di rilascio delle certificazioni per i sistemi di gestione ambientale conformi alla norma ISO 14001.
A sette mesi dall’approvazione del Decreto Rilancio, la maggioranza delle aziende su cui pende l’obbligo di gestione della mobilità dei dipendenti, non s’è adeguata. Lo stesso vale per molti enti pubblici locali rilevanti sul territorio, che avrebbero potuto dare il buon esempio. Su tutti valga però il caso del mondo della scuola, dove i responsabili della mobilità sono stati raramente nominati.
La ratio del Decreto Rilancio è quella di sensibilizzare anche le medie imprese a preoccuparsi di come i propri dipendenti raggiungano il posto di lavoro. Se nella vecchia società basata sulla grande industria era relativamente più facile gestire questo aspetto, grazie a strumenti come le navette aziendali o tramite la pianificazione del Tpl, oggi la vera sfida è riuscire a portare valide politiche di mobility management nel tessuto imprenditoriale italiano costituito prevalentemente dalla piccola e media impresa.

L’idea sarebbe di comportarsi come nel caso della legge 626/94, relativa alla sicurezza sui luoghi di lavoro, prevedendo sanzioni per chi non ottempera. Per un imprenditore è oggi impensabile non rispettare la normativa sulla sicurezza del lavoro, mentre il Decreto Ronchi – di soli pochi anni più vecchio – è rimasto invece largamente inattuato. Con buona pace di tutti.